Fabrizio Bosso
La Forza del Destino
Di Fabrizio Bosso (Torino, 1973) si potrebbe ben dire che in un certo qual modo era un predestinato. Diplomatosi al Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino nel 1989, parallelamente aveva già frequentato l’ambiente del jazz (soprattutto per big band e orchestra) grazie alle esperienze del padre trombettista. Già intorno alla metà degli anni Novanta in Italia si cominciò a sentir parlare di un giovane, promettentissimo trombettista. In quegli anni, infatti, Bosso si segnalò all’attenzione generale specialmente nell’ambito di un quintetto in cui figurava anche il contraltista Rosario Giuliani, documentato nel 2000 dalla Red Records in Fast Flight.
Già allora il trombettista metteva in mostra quei tratti distintivi che avrebbe poi maturato negli anni a venire: attacchi brucianti, fraseggio nitido e articolato, sapienti pause sui tempi medi e lenti, ampia gamma di sfumature timbriche e solida conoscenza della tradizione, con predilezione per il linguaggio dei grandi dello hard bop, Clifford Brown in primis. Dal 2000 in poi Bosso ha letteralmente bruciato le tappe, sviluppando un’attività tanto intensa quanto diversificata. Ha fatto parte del quintetto del pianista Enrico Pieranunzi e co-fondato gli High Five, formazione dalla moderna impronta boppistica, con Daniele Scannapieco (ts), Julian Mazzariello (p), Pietro Ciancaglini (b) e Lorenzo Tucci (dm).
Al tempo stesso, ama cimentarsi in contesti più desueti, come testimoniano il trio con Alberto Marsico (org) e Alessandro Minetto (dm) e varie esperienze in duo: con Antonello Salis in Stunt (Parco della Musica, 2009), con il fisarmonicista Luciano Biondini in Face to Face (Abeat, 2012) e recentemente con Mazzariello nel progetto Shuffle. Significative anche le sue partecipazioni a About a Silent Way (Itinera, 2009), del performer elettronico Martux_m, e Complete Communion (Dreyfus, 2010), dedicato da Aldo Romano alla musica di Don Cherry. Inoltre, Bosso ha realizzato ambiziosi progetti orchestrali in proprio in You’ve Changed (Blue Note, 2007), con gli archi arrangiati da Paolo Silvestri, e Enchantment-L’incantesimo di Nino Rota (Schema, 2011), con la London Symphony Orchestra diretta da Stefano Fonzi, autore degli arrangiamenti, e il proprio quartetto, formato da Claudio Filippini (p, cui è poi subentrato Luca Mannutza), Rosario Bonaccorso (b) e Lorenzo Tucci (dm). Infine, Bosso ha anche ampliato la propria visibilità presso il grande pubblico attraverso apparizioni televisive e collaborazioni con cantanti pop quali Sergio Cammariere, Mario Biondi e Nina Zilli, a dimostrazione di una indubbia flessibilità e versatilità.
Intervista di Enzo Boddi
Photos Umberto Germinale, José M. Horna, Jos Knaepen, David Sinclair
© Jazz Hot n°671, primavera 2015
Jazz Hot : Ti sei diplomato giovanissimo in conservatorio. Inizialmente quanto ti è servita quella formazione e quanto ti è rimasto?
Fabrizio
Bosso : Sicuramente quello studio mi è servito, anche se come suonare la tromba l’ho capito dopo, facendo un corso di alto perfezionamento con Pierre Thibaud, che era stato la prima tromba dell’Orchestra dell’Opéra di Parigi ed era poi diventato un didatta molto importante. Grazie a lui ho capito tante cose e, soprattutto, che se volevo suonare seriamente lo strumento, c’era ancora tanto da lavorare. Parallelamente, suonavo già nelle big band e in orchestra. Penso che, per imparare bene, si abbia bisogno di emozioni, ma anche di trovare un proprio metodo di studio per capire meglio di cosa si ha realmente bisogno per migliorarsi. Anche perché, dopo tutto, ognuno rimane il miglior insegnante di se stesso.
Sull’altro piatto della bilancia, che peso ha avuto l’esperienza sul campo? Il jazz non l’ho studiato in maniera accademica, ma l’ho imparato «sulla strada», suonando...
... infatti, una ventina d’anni fa era già in giro con il sassofonista Rosario Giuliani. È vero, con Rosario si suonava già allora in giro per l’Italia. Ho avuto la grande fortuna, fin da piccolo, di muovere i primi passi nelle big band amatoriali. Mi ci portava mio padre, che suonava in quelle formazioni come lead trumpet. Un’esperienza molto importante, dove già a 10-11 anni avevo potuto prendere i primi assolo. Da lì la curiosità mi ha spinto a svilupparmi, migliorarmi, studiare l’armonia, sempre da solo. Fin da giovane ho avuto la fortuna di lavorare con grandi musicisti, come appunto Giuliani ed Enrico Pieranunzi. A Torino ho avuto Flavio Boltro come figura di riferimento. Sono cresciuto ascoltando le sue jam sessions. La prima jam l’ho fatta con lui a 13 o 14 anni alla Contea, un club torinese: me la ricorderò per tutta la vita, anche perché me la facevo sotto davanti al mio idolo.
Molti riconducono il tuo stile a certi trombettisti dell’era hard bop, come Clifford Brown, Freddie Hubbard, forse anche Booker Little. Consideri attendibili questi riferimenti?
Clifford è stato il mio primo amore serio, il trombettista che ho ascoltato e studiato di più, il primo ad impressionarmi anche per la ricerca del suono. Era stato infatti uno dei primi ad avere quella sonorità grossa, scura, che mi attirava molto. Miles Davis e altri trombettisti li ho scoperti da grande. Voglio dire: li conoscevo e li ascoltavo, ma non li avevo mai approfonditi prima di raggiungere una certa età. Come del resto anche Louis Armstrong, che ho riscoperto grazie a Wynton Marsalis, ascoltando tutte le sue operazioni di rivisitazione di vecchi materiali e in particolare i dischi dove suona in stile New Orleans. A quel punto mi sono detto: «Andiamo a vedere da dove lui ha pescato».
A questo proposito, secondo te è corretta, utile, necessaria o – come sostengono alcuni – criticabile l’opera di ritorno alle radici, talvolta filologica, di Marsalis?
Credo che lui si senta un po’ un missionario, come se fosse in qualche modo terrorizzato dall’idea che tutto questo potesse finire. Quindi, invece di andare avanti, ritorna sempre un po’ indietro. Però, io non me la sento di criticare un uomo che suona così bene la tromba e oltretutto conosce così bene la musica e il linguaggio. Io mi compro tutti i suoi dischi, perché dimostrano una completezza, una padronanza del linguaggio e una varietà di idee che difficilmente qualcun altro potrà raggiungere. Inoltre, le accuse di freddezza che gli vengono rivolte mi sembrano gratuite. Ho suonato con lui in jam per tre ore alla Cantina Bentivoglio di Bologna e non mi è sembrato affatto freddo. Quando suona una ballad ti ammazza, perché ha un suono strepitoso. Con una sola nota ti zittisce, per la grana del suono, la qualità, le possibilità timbriche e la varietà di colori che riesce a creare. Trovo che tutti gli appunti sulla sua presunta mancanza di cuore a favore della pura tecnica (che gli venivano mossi specialmente negli anni Novanta e nei primi Duemila) fossero una tendenza che si è poi ridimensionata. Addirittura ho il sospetto che in certi casi fossero una scusa. Naturalmente, con questo non voglio dire che lui sia l’unico trombettista: ce ne sono molti altri che mi emozionano. Ad esempio Tom Harrell, che forse avrà la metà della sua tecnica, ma fa della grande musica.
Fra i trombettisti della tua generazione, e anche fra i più giovani, trovi che qualcuno abbia espresso qualcosa di originale?
Terence Blanchard compone delle belle cose e infatti scrive spesso per il cinema. Trovo che abbia delle idee molto interessanti, oltre a suonare naturalmente molto bene. Nicholas Payton è un altro solista molto forte, di cui però da un po’ di tempo non si sente più parlare. Tra i giovani, penso che Ambrose Akinmusire abbia qualcosa in più, qualcosa di diverso, per certe idee originali e per l’uso degli intervalli. Non mi fa sempre impazzire, ma in certi momenti lo apprezzo davvero tanto. Per dire, il suo ultimo disco a giorni mi entusiasma, in altre circostanze faccio fatica ad ascoltarlo: questo è segno di un qualcosa di molto forte. Vuol dire che alla base c’è un’idea di musica molto ben definita, per cui si ha bisogno di una particolare predisposizione per poterla gustare. Ho suonato in jam anche con lui e trovo che sia molto preparato.
E che ne dici di un neworleansiano come Christian Scott, forse più moderno per l’impiego di risorse stilistiche disparate?
Sì, mi piace, indubbiamente è molto bravo, ma trovo il suo approccio un po’ furbesco, soprattutto nel modo di atteggiarsi sul palco. Dovendolo però paragonare con Akinmusire, visto che sono più o meno coetanei, trovo la musica di quest’ultimo senz’altro più interessante.
Il
me semble que dans ton évolution, surtout dans l’utilisation des
sourdines et de certaines nuances, tu te sois référé,
indirectement, aussi bien au new-orleans qu’à quelques
trompettistes ellingtoniens – au moins en partie.
Sì, certamente, ma anche a Benny Bailey, con cui ho suonato quando fu ospite della big band di Gianni Basso. Lui, ad esempio, era uno che usava la sordina plunger in maniera strepitosa. Poi citerei i trombettisti dell’orchestra di Count Basie. Del resto, sono cresciuto con le orchestre e le big bands, con cui ho fatto le prime cose serie. Perciò, mi piace molto l’uso della sordina sebbene non ami tanto la Harmon, che è sempre difficile da amplificare e che pertanto trovo poco gestibile.
Nel 2012 a Umbria Jazz hai eseguito Miles Ahead e Quiet Nights. A sua volta Paolo Fresu ha riproposto Porgy and Bess e Sketches of Spain. In quei casi, quanto il solista cerca di identificarsi con l’originale e quanto invece se ne distacca?
Io ho cercato solo di rispettare quelle pagine straordinariamente belle. Naturalmente è difficile, perché il modo in cui Miles le aveva eseguite era perfetto, tanto che sembrava che gli avessero costruito intorno tutto il resto. Però, dal momento che si accetta una sfida del genere, si deve cercare di suonare ed essere se stessi. Avevo riascoltato il disco per la forma e per il mood; tuttavia, devo dire che mentre suonavo, non pensavo assolutamente a Miles, anche perché non è un trombettista che ho studiato e assimilato a fondo. Ovviamente lo amo, ma non ho mai trascritto i suoi assoli, che invece uso con i miei allievi. Magari a Paolo, che ha Miles nel proprio Dna, riesce più facile farsi trasportare su quel terreno. Io ho solo cercato di suonare quella bellissima musica nel modo in cui suono sempre. Comunque, anche gli arrangiamenti stessi di Gil Evans ti portano a suonare un po’ diversamente. Quindi, è normale che in quell’atmosfera venga naturale, ad esempio, eseguire dei raddoppi su una ballad.
E, sempre a proposito di Miles, che ne pensi di un esperimento interessante come About a Silent Way, con musicisti così diversi come Martux_m (alias Maurizio Martusciello, ndr), Francesco Bearzatti, Eivind Aarset e Aldo Vigorito?
È stato molto divertente, anche perché a nessuno di noi era stato chiesto di fare qualcosa in particolare, ma piuttosto di suonare e tirare fuori delle idee. Certo, dal vivo non è facilissimo riprodurre quel progetto e perciò ne sono usciti alcuni concerti molto belli, altri un po’ meno. Dipende da tanti fattori, però quando non si ha del materiale scritto sul quale lavorare, si è «costretti» a mettere in moto il cervello. Questo è un po’ quanto avviene nel duo con Antonello Salis, con il quale fin dal primo concerto non abbiamo mai deciso niente: con lui saliamo sul palco e suoniamo. Quei concerti sono molto impegnativi, essendo per così dire «senza rete». Tuttavia, se si entra in connessione, ne esce qualcosa di speciale.
Quella è proprio la filosofia di Salis ...
La cosa che ho scoperto affrontando questo tipo di concerti è che non ci si può mai riposare: se ci si distrae nei momenti in cui non si suona, con lui si è fregati, perché si deve rimanere concentrati per trovare la maniera di rientrare. Quindi, è sempre una dura prova, perché si rischia di uscire dal gioco in un attimo. Devo dire comunque che lavorare in quel modo è stato molto stimolante e mi ha fatto maturare molto, avendo avuto prevalentemente esperienze in cui salivo sul palco sapendo che cosa avrei suonato. Questa pratica mi ha dato più apertura e nuovi stimoli.
Come mai la tua esperienza con Franco D’Andrea, nel trio con Gianluca Petrella, è durata così poco?
Purtroppo alla base ci sono stati problemi extramusicali: assolutamente non legati ai rapporti umani, ma piuttosto di natura manageriale. È stato veramente un grande peccato, perché quel trio – di cui ho dei ricordi molto belli - era qualcosa di veramente speciale. Purtroppo si è trattato di una grossa perdita, anche perché avevamo già fatto un disco in quintetto, registrato dal vivo alla Casa del Jazz di Roma, con Daniele D’Agaro al clarinetto e Zeno De Rossi alla batteria. Il trio in sé aveva comunque qualcosa di speciale, essendo basato su tre figure che interagivano continuamente.
Hai registrato You’ve Changed e Enchantment, quest’ultimo basato sulla musica di Nino Rota: il primo con gli archi, il secondo con un’orchestra completa. Come ti ci sei trovato, considerando che da tempo immemorabile si parla del rischio di compromettere certi equilibri utilizzando gli archi nel jazz?
Quando ho deciso di intraprendere questi progetti, non ho pensato ai rischi, ma semplicemente a quello che avevo voglia di fare. Era un mio sogno fare un disco con un’orchestra d’archi. Poi è giunta questa proposta di lavorare su Nino Rota da parte di Stefano Fonzi, che ha arrangiato tutto il materiale. Inizialmente mi propose un concerto a L’Aquila e mi disse di voler provare a coinvolgere un’orchestra importante. Un’ora dopo mi chiamò dicendo che la London Symphony aveva accettato: un altro sogno che si realizzava! È stata una grandissima emozione, un qualcosa che ti porta a suonare diversamente: in quel contesto, anche le note hanno un peso diverso. Con il sostegno di un’orchestra di quel genere, infatti, si ha l’esigenza di fare meno cose, non si sente affatto la necessità di strafare. A un certo punto, dopo un’ora di registrazione, devo ammettere che non mi interessava più prendere degli assolo. Mi divertivo così tanto a eseguire le melodie con l’orchestra e talmente forte era l’emozione di suonarle sopra questo tappeto sonoro, che alla fine ho passato un giorno e mezzo da favola.
E invece, per quanto riguarda i tuoi contatti con il jazz francese, che ne dici della tua partecipazione a Complete Communion con Aldo Romano?
Quella è stata un’altra bellissima esperienza! Con Aldo avevo già lavorato, avendo sostituito un paio di volte Paolo Fresu nel quartetto Palatino. Con questo progetto, nato da una proposta di Sandra Costantini (direttrice artistica di Ravenna Jazz e Crossroads, ndr), abbiamo tenuto dei bellissimi concerti, molto stimolanti. Géraldine Laurent è una musicista straordinaria, una contraltista che suona in maniera veramente diversa dagli altri. Per quanto riguarda Aldo e Henri Texier, penso che siano una coppia vincente: Henri è il bassista con cui Aldo si trova meglio e riesce a dare il massimo. Il fatto di suonare pianoless (cosa che in generale non amo molto, prediligendo le armonie) mi ha aperto molto il cervello. Però in quel contesto la cosa mi ha incuriosito e mi ha portato a cercare altre strade. Il fatto stesso di non avere un tappeto armonico ti costringe a trovare altre soluzioni per evitare di essere banale.
In generale i musicisti italiani sono molto apprezzati all’estero. In Italia, invece, a volte si tende a cadere nella polemica e nell’autocommiserazione.
Altri paesi europei tendono a tutelare maggiormente e ad incoraggiare i propri musicisti, come succede ad esempio proprio in Francia. In Italia a volte mancano le strutture e mancano soprattutto quelli che dovrebbero sostenere i progetti più rischiosi. Al contrario, si tende ad andare più sul sicuro. In altre parole, manca sicuramente un po’ di coraggio. Alla fine, in certi casi anche i musicisti vengono scoraggiati dall’affrontare imprese più rischiose. Infine, manca forse anche una sufficiente educazione del pubblico all’ascolto.
D’altro canto, la didattica jazzistica si è diffusa a notevoli livelli. Qual è la tua esperienza come didatta?
Faccio dei masters. Ho ricevuto diverse proposte dai conservatori, ma le ho rifiutate perché, suonando così tanto, preferisco avere un po’ di tempo anche per me. Non amo l’imposizione dell’insegnamento, cioè il fatto di dover insegnare per forza a qualcuno che non ha talento. Nella musica classica, anche se non si possiede un gran talento, si può arrivare a fare delle cose apprezzabili. Nel jazz, secondo me, è più difficile; se alla base non c’è almeno una predisposizione, diventa frustrante: sia per l’allievo che per l’insegnante.
Contatto : www.fabriziobosso.eu
Discografia di Guy Reynard
Leader
CD 1994. Summertime in Jazz 1994,
Splasc(H) 441 CD 1997. Up Up with the Jaz Convention,
Schema 306 CD fin 90. Introducing Paolo di
Sabatino, Hallway 9706 (duo avec Paolo di Sabatino) CD 2000. Eyes and Stripes, Dischi della
Quercia 128033-2 CD 2000. Fast Flight, Red Records
123287-2 CD 2003. Four for Jazz, Philology 267 CD 2003. Live at Villa Durio, Philology
327 CD 2003. Chapter 1 : Two
Generations, Philology 264 CD 2004. Rome After Midnight, Sound
Hills 8129 CD 2005. Line for Lyons, Remembering
Chet & Jeru Chapter 1, Philology 319 (coleader Gianni Basso) CD 2005. Line for Lyons, Remembering
Chet & Jeru Chapter 2, Philology 320 (coleader Gianni Basso) CD 2005. Jobim Chapter 1: Luisa,
Philology 601 CD 2005. Angela: A.C. Jobim Project
Chapter 3, Philology 603 CD 2006. Trumpet Legacy, Sound Hills
8132 CD 2006. Bosso Meets Basso Quintet, 'S
Wonderful, Philology 350 (coleader Gianni Basso) CD 2007. You've Changed, EMI 681296 CD 2007. Il Concerto Perfecto,
Philology 284 CD 2007. Bosso Meets Basso Quintet,
Cool Trane, Philology 349 (coleader Gianni Basso) CD 2008. Stunt, Parco Della 015 (duo
avec Antonello Salis) CD 2008. Latin Moods, Blue Note 264
287-2 CD 2008. Together, Wide 908005 CD 2008. Italian Songs, Wide 905095
(coleader Francesco Cafiso) CD 2008. Together, Wide 908005
(coleader Los tres) CD 2009. Once I Loved, Philology 256
(leader Irio de Paula) CD 2009. Formidable, Philology 424
(leader Barbara Casini) CD 2012. Face to Face, Abeat Records
116 CD 2012. Vamos, Rearward 143 CD 2012. Plays Enchantment :
L'Incantesimo di Nino Rota, Rearward 145 CD 2013. Coffee Time, Albore Jazz 011 CD 2013. Purple, Verve 375245 5 CD 2014. Drumpet, Via Veneto Jazz 291 CD 2014. Four Friends in Bari, Fo(u)r
1170601 CD 2014. Tandem, Verve 5000669 CD 2014. Magic Susi, Verve 1148364
Sideman CD 1994. Archetiporchestra,
Studiottanta 001 CD 1996. Mauro Grossi, Bitter Cake
Walk, Splasc(H) 605 CD 1997. Balanço, Bossa & Balanço,
Schema 305 CD 1997. Paolo Di Sabatino, Introducing
Paolo Di Sabatino/Live at Pomigliano Jazz Festival, Hallway Records
9706 CD 1997. Jazz Convention, Up Up with
the Jazz Convention, Schema 306 CD 1997. Luigi Martinale, Eyes and
Stripes, DDQ 128033-2 CD 1998. Rosario Giuliani, Tension:
Jazz Themes From Italian Movies, Schema 309 CD 1998-99. Balanço, More, Schema 310 CD 1999. Schema Sextet, Look Out,
Schema 320 CD 1999. Gianni Basso Big Band
Featuring Slide Hampton, Nova Era 80012 CD 1999. Gianni Cappiello, Incendi
Marini, Splasc(H) 709-2 CD 2000. Enrico Pieranunzi, Evans
Remembered, Via Veneto Jazz 031 CD 2000. Pietro Condorelli, Quasimodo,
Red Records 123289-2 CD 2000. Esmeralda Ferrara, Sings Bill
Evans, Philology 212 CD 2000. Salvatore Bonafede, Ortodoxa,
Red Records 123294-2 CD 2000. Guido Manusardi, Doina, Soul
Note 121331-2 CD 2000. Massimo Manzi, Quasi Sera,
Wide Sound 104 CD 2000. Andrea Tofanelli, Mattia's
Walk Splasc(H) 735 CD 2000. Phil Woods Dameronia (Phil
Woods in Italy 2000, Chapter 3), Philology 303-2 CD 2001. Sergio Cammariere, Dalla Pace
del Mare Lontano, EMI 965 470-2 CD 2001. Stefano
Bagnoli, A Jazz Story Suite, Abeat 007 CD 2001-02. Civica Jazz
Band, Italian Jazz Graffiti, Soul Note 121379-2 CD 2001-02. Enrico
Fazio, Zapping!, Leo 372 CD 2001-03. Gianni Basso, Two For The
Cities, Philology 204 CD 2002. Billy Cobham, Drum 'n' Voice,
Vol. 1, Sony Music 505 264-2 CD 2002. Renato Sellani, Thank You,
George Gershwin, Philology 237 CD 2002. Vito Dimodugno, Organ Grooves,
Red Records 123297-2 CD 2002. Franco D'Andrea, 'Round Riff &
More 2, Philology 241 CD 2003. Nicola Conte, Jet Sounds
Revisited, Schema 330 CD 2003. Silvia Salemi, Gioco Del
Duende (Sanremo 2003), Sony Music 511182 CD 2003. Rosalia de Souza, Garota
Moderna, Pony Canyon Records 01701 CD 2003. Renato Sellani, Ciao Kramer,
Philology 227 CD 2003. Rio-Evolutions, Vol. 2, Deja
Vu 1000007 CD 2003. Gianni Basso, Chapter 2: Sweet
& Lovely, Philology 266 CD 2003-04. Nicola Conte, Other
Directions, Schema 386 CD 2005. Gregg Kofi Brown, Together as
One, Wrasse 173 CD 2005. Raphael Gualazzi, Reality &
Fantasy, EMI 736752C CD 2005-07. Nicola Conte, Rituals,
EmArcy 001292302 CD 2006. The Dining Rooms, Versioni
Particolari, Vol. 2, Schema 413 CD 2006. Jazbeat, Jazbeat, Nocturne
Jazz 363 CD 2006. Invisible Session, Invisible
Session, Schema 401 CD 2006. Mario Biondi / High Five
Quintet, Handful of Soul, Schema 406 CD 2006. Ronnie Jones, Again, Nicolosi
90037 CD 2007. Stefano di Battista, Trouble
Shootin', Blue Note 502 911-2 CD 2007. Renato Sellani, Plays Monk,
Philology 318 CD 2007. Mario Biondi, I Love You More
Live, BMG/Sony 229 300 4 LP 2007. The Dining Rooms, Afrolicious,
Schema 028 CD 2008. Lorenzo Tucci, Touch, Schema
445 CD 2008. Franco Micalizzi & the Big
Bubbling Band, Cult & Colt Cinema '70, New Team CD 2009. Alessandro Magnanini, Someway
Still I Do, Schema 448 CD 2009. Mario Biondi, If, Tattica
060007 CD 2009. Fiorella Mannoia, Ho Imparato
a Sognare, Epic 762 615-2 CD 2009. Sergio Cammariere, Carovane,
Capitol 688670 CD 2009. Franco Califano, C'è Bisogno
d'Amore, BMG/Sony 753 719-2 CD 2010. Renato Sellani, True Love (For
Cole Porter), Philology 422 CD 2010. Robi Zonca, So Good, Tube Jam CD 2010. Claudio Baglioni, Q.P.G.A.,
BMG/Sony 7432002)
CD 2010. Nick the Nightfly, Nice One,
Edel Records 06247 CD 2010. Lino Brotto, Chiaro di Luna,
Philology 435 CD 2011. Nicola Conte, Love &
Revolution, Impulse! 0602527687087 CD 2011. Tiziano Ferro, L' Amore e una
Cosa Semplice, EMI 731 075-2 CD 2011. Mario Biondi, Change of
Scenes, Schema 455 CD 2011. Sarah Jane Morris, Cello
Songs, Cinik 025 CD 2012. Joe Barbieri, Respiro, Le
Chant du Monde 2742178 CD 2012. Zucchero, La Sesión Cubana,
Capitol 1994560 CD 2012. Alessandro Scala, Viaggio
Stellare, Schema 466 CD 2012. Javier Girotto, Vamos,
Rearward 143 CD 2012. Gaetano Partipilo, Besides:
Songs from the Sixties, Schema 460 CD 2013. Renato Zero, Amo, Tattica
8034097060380 CD 2014. Michel on the Air, Iti Records
5000674
CD 2014. Nicola Conte, Free Souls,
Schema 468
Videos Fabrizio Bosso
& Flavio Boltro Quintet « Daahoud » (2005) Fabrizio
Bosso (tp), Flavio Boltro (tp), Luca Mannutza (p), Luca Bulgarelli (b), Lorenzo
Tucci (dm)
Italian Big
Band feat. Fabrizio Bosso, « I Remember Clifford »,
Teatro Petruzzelli di Bari (2010)
Irio
De Paula & Fabrizio Bosso, « Summer Samba » (2010) Irio De Paula
(g), Fabrizio Bosso (tp)
Fabrizio Bosso & Julian Oliver
Mazzariello, Special Project Estate (2013) Fabrizio Bosso (tp) Julian Oliver
Mazzariello (p) Fabrizio Bosso, Spiritual au Civita
Summer Jazz Festival a Bagnoregio
Fabrizio Bosso (p), Alberto Marsico
(org), Alessandro Minetto (dm)
Fabrizio Bosso
Quartet -1st stage- in Kumamoto « Tsutaya Music Cafe
Morricone »
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