Ground Zero era il suggestivo titolo scelto dagli organizzatori per la XXII edizione di Udin&Jazz: chiara allusione all’esigenza di ripartire da zero in un periodo di involuzione culturale e di drastici tagli.
Preceduta e seguita da eventi di diversa estrazione distribuiti sul territorio, nelle quattro giornate centrali dal 26 al 29 giugno la programmazione – ospitata da luoghi storici quali il Piazzale del Castello e la corte di Palazzo Morpurgo – si è articolata su tre direttrici fondamentali: l’attenzione alla scena nazionale, con particolare riguardo per i musicisti friulani; il rapporto con la tradizione jazzistica intesa in senso lato; la compenetrazione tra jazz e altri linguaggi improvvisativi.
Il Jazz Loft 6et condiretto dal pianista Bruno Cesselli e dal flautista Massimo De Mattia sviluppa le istanze sollevate dal Dolphy di Out To Lunch. Fondamentale in questo senso il ruolo di De Mattia che spazia dalla visceralità di Rahsaan Kirk all’astrattezza di James Newton. Al contralto Nicola Fazzini possiede un linguaggio riconducibile a Julius Hemphill e Henry Threadgill, mentre il vibrafonista Luigi Vitale ha approfondito la lezione di Bobby Hutcherson. Funzionale il lavoro di raccordo di Cesselli, sostenuto da Alessandro Turchet e Luca Colussi, coppia ritmica in prepotente crescita.
Alla guida della Red Devils Band, il pianista Claudio Cojaniz esprime il lato ludico della sua personalità. Il nuovo progetto Carmen The Land of Dances fonde in caleidoscopica successione – sempre sulla base di pedali modali – blues, rock, folklore mitteleuropeo e balcanico, elementi di derivazione iberica, tradizione bandistica italiana. Gli inserti vocali in lingua friulana del rapper Mauro Tubetti rivelano un potenziale ritmico di inaspettata musicalità. Con la Banda Garibaldina di Monte Surdu il sassofonista Enzo Favata segue una linea narrativa contrassegnata da citazioni di inni del Risorgimento, parafrasi di Va pensiero di Verdi, echi della Liberation Music Orchestra, riferimenti al patrimonio sardo e al belcanto, fugaci accenni al free. I momenti più felici coincidono con i collettivi in cui spiccano il lavoro di cucitura del pianista Alfonso Santimone e la complessità del linguaggio, sempre in bilico tra avanguardie europee e jazzistiche, del trombonista Giancarlo Schiaffini.
«Il rock’n’roll? È jazz ignorante». Chissà se Francesco Bearzatti aveva in mente questa celebre definizione di Thelonious Monk al momento di preparare Monk’n’Roll, nuovo progetto col Tinissima Quartet (Giovanni Falzone, tp.; Danilo Gallo, b; Zeno De Rossi, dm). Intrattenimento intelligente e divertente – ma non consigliabile ai puristi – che vede il tema di «Bemsha Swing» intersecarsi con la ritmica di «Another One Bites The Dust» dei Queen, o il motivo di «’Round Midnight» snodarsi sulla linea di basso di «Walking On The Moon» dei Police. Allo stesso modo «I Mean You», «Blue Monk», «Straight No Chaser», «Brilliant Corners» coesistono con Pink Floyd, Led Zeppelin, Michael Jackson, Aerosmith.
A 72 anni Pharoah Sanders possiede ancora un suono potente, ma ripulito da certe asperità, e fluidità di fraseggio. Con William Henderson (p), Oli Hayhurst (b) e Gene Calderazzo (dm) riesuma l’eredità spirituale di Coltrane attraverso lunghe tracce modali, i classici sheets of sound su serrate progressioni armoniche, senso del blues e Spanish Tinge, fino alla ballad («I Want To Talk About You»). La modernità che a suo modo si fa tradizione.
Con Kristjan Randalu (p), Phil Donkin (b) e Chander Sardjoe (dm) Dhafer Youssef ha messo a punto una formula efficace basata su melismi e modulazioni suggestive, e tracce ritmiche dispari dettate dall’oud. Qua e là emergono virtuosismi e ripetizioni che rendono l’insieme gradevole ma standardizzato.
Il quartetto del fisarmonicista Aleksander Ipavec, sloveno del Friuli, offre un valido esempio di commistione culturale mediante diverse modalità improvvisative: elementi desunti dalla tradizione armena del pianista Karen Asatrian; metriche dispari di matrice balcanica alternate al 4/4 con l’efficace apporto del bassista austriaco Stefan Gferrer e del batterista Emil Kristof, sloveno d’Austria; riferimenti a Galliano e Corea. Anche in questa sintesi risiede il futuro del jazz.
Enzo Boddi
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